venerdì 19 aprile 2013

Donne e gigolò: un tabù infranto?
seconda parte





Seconda parte della nostra inchiesta sui gigolò.

Cenni storici
La prostituzione esiste da sempre ed è, come spesso si dice, “il mestiere più antico del mondo”; ciò che forse non si tiene conto è che il più delle volte si parla e si discute proprio di prostituzione femminile, e non nello specifico di quella maschile.



Per i Greci non esisteva un sesso “debole” per natura: infatti, questa civiltà considerava del tutto normale e naturale anche la prostituzione maschile. I nostri lontanissimi antenati possedevano una straordinaria vitalità della cultura sessuale, erano aperti a qualsiasi forma di sessualità, anche alla prostituzione maschile omosessuale. Gli uomini, infatti, non perdevano la loro virilità anche se si prostituivano ad altri uomini: l’importante era mantenere un ruolo “attivo” con i propri partner.
All’epoca Romana, sotto il regno di Augusto, la prostituzione maschile venne anche tassata e dunque “legalizzata”, pertanto considerata un vero e proprio lavoro, con tanto di regolari introiti e contributi statali.




Il politico romano Catone il Censore non vedeva però questo fenomeno in buona luce; secondo Catone, infatti, a quest’attività si dedicavano soprattutto ragazzi viziati, ricchi e vogliosi di arricchirsi sempre più con un lavoro troppo facile e remunerativo.
Da questa nota possiamo dedurre che la maggior parte degli agenti della prostituzione maschile arrivassero da caste sociali più alte e si mantenevano in quel giro, senza contaminarsi con le case di piacere di basso rango frequentate da poveracci, ma frequentando uomini e ambienti lussuosi, lasciandosi accecare dal luccichio del potere.
La prostituzione maschile non poteva esser vista con occhi indagatori, non solo perché anche quella femminile non veniva vista come tale, ma soprattutto in quanto già si comprendevano aspetti legati ad altre sfere che non richiamano il semplice godimento femminile, ma aspetti che riguardano la psicologia umana; già Ippocrate sosteneva una motivazione, a dir poco valida, sull’esistenza e – quasi - l’importanza intrinseca del sesso nella sfera femminile: «l’utero, se non è impregnato dallo sperma abbastanza frequentemente, provoca un reflusso sanguigno nel resto del corpo e dà origine a quella malattia chiamata isteria, che si guarisce con i rapporti sessuali.»
Pur se accertata e accettata, sulla prostituzione maschile nell’antichità non abbiamo nulla che ci informi maggiormente con ulteriori elementi: non possiamo, infatti, essere certi che anche gli uomini operassero in case chiuse o per le strade; a tal proposito si ha la netta sensazione che la prostituzione maschile sia sempre stata un po’ più elitaria rispetto a quella femminile. Il che appare logico, vista la scarsa emancipazione economica delle donne del tempo.
Infatti, andando più avanti nei secoli, ossia nell’epoca ottocentesca, il costume storico si arricchisce di prostituzione maschile, o di semplici accompagnatori di dame, anche nei ceti borghesi. Lo si comprende bene leggendo soprattutto i libri francesi di quell’epoca, pieni di storie fra donne facoltose e uomini mantenuti da esse (artisti, scrittori, studenti), storie nate dal desiderio del denaro e poi finite in tragedie o con la benedizione dell’amore; dal più famoso Madame Bovary di Gustave Flaubert, dove vi è una breve tresca fra madame Bovary e un giovane studente, a Le relazioni pericolose di Pierre Delacios, sino a I demoni di Dostoevskij, a Il rosso e il nero di Standhal. Se ne potrebbero citare tanti, tantissimi, che nascondono tresche in stile gigolò.

continua...






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